SocietingLAB
Corso Nicolangelo Protopisani, 70
80146, Napoli (NA), Italia
Per informazioni
Puoi contattarci a
info@ruralhack.org
Back

La viticoltura e il suolo: una responsabilità collettiva da condividere

cestini con diversi tipi di uva su una vetrina di un supermercato scaled La viticoltura e il suolo: una responsabilità collettiva da condividere

Viticoltura (o viticultura) s. f. [comp. di vite1 e -coltura (o -cultura)]. – L’attività di coltivare la vite; […]. (Treccani).

Nonostante sia più comune utilizzare il termine “viticOltura”, è innegabile che la diffusione globale del termine “vino” e l’intera cultura legata alla vite sembrino propendere per la definizione di quest’arte come “viticUltura”.
E allora, cultura, come un lungo divenire evolutivo, dalla scoperta di resti fossili che risalgono ad almeno 37 milioni di anni fa, alla testimonianza di scavi archeologici della prima addomesticazione della Vitis vinifera (“vite da vino”) nelle regioni montuose del Caucaso, fino alla rivelazione casuale che il succo d’uva, dimenticato in un recipiente, produceva effetti piacevoli nel corpo e nello spirito durante la preistoria.

Difficile, in estrema sintesi, parlare della complessità colturale e culturale della coltivazione della vite e della pratica di vinificazione. In un contesto più ampio, parliamo di suolo, elemento chiave per la crescita di ogni coltura e una risorsa collettiva, simbolo di una responsabilità condivisa.

Partiamo, quindi, esplorando i temi presentati durante il webinar online dello scorso 17 gennaio “Suolo, bene comune – Slow Wine Fair”, suolo come riferimento di esperienze legate alla viticoltura/cultura.

Salvaguardare il Suolo come Patrimonio Comune

La pratica agricola della coltivazione è un momento di scambio e, come tutti i gesti di condivisione, crea legami.
La viticultura, e più in generale l’agricoltura, rappresenta l’inizio di un percorso che coinvolge tutti i suoi attori, con il consumatore posizionato alla fine di questa lunga catena. Questa dinamica, per definizione, è un atto di inclusione sociale.

La vitalità delle città dipenderà sempre di più dall’agricoltura, diventando un elemento centrale per la qualità della vita. È pertanto importante promuovere iniziative che incoraggino i cittadini a sviluppare una connessione più profonda con ciò che mangiano e bevono.

Adesione di L’Olivera all’Associazione Vigneti Urbani (UVA)

Pau Moragas Bouyat, responsabile di L’Olivera Cooperativa e membro di Urban Vineyards Association, presenta L’Olivera, cooperativa sociale che conserva l’ultimo vigneto produttivo della città.

L’Olivera produce vini e oli d’oliva biologici, promuovendo un progetto no profit per le persone a rischio di esclusione sociale, ovvero persone con situazioni sociali svantaggiate, da qui il motto “Cultura de Márgenes” perché può connettere chi vive ai margini.

Immagine1 La viticoltura e il suolo: una responsabilità collettiva da condividere

I vigneti di Barcellona a cura di L’Olivera rientrano negli 11 vigneti urbani ammessi nell’Associazione Vigneti Urbani (UVA), fondata nel 2019 a Torino con l’obiettivo di sostenere progetti di valorizzazione del ricco patrimonio rurale, storico e naturale rappresentato dai vigneti delle zone urbane, spesso dimenticati nel tempo. Ciò mira a creare un solido legame tra questi vigneti e le comunità locali e unirli in una rete internazionale.

Durante la conferenza, Pau spiega: « .. quando parliamo di suolo come bene comune è molto importante darci ispirazione dalle modalità di agricoltori antichi precedenti, perché questa gestione all’antica ha l’arte di conoscenze incredibili, da qui il nostro motto “ cultura dei margini ”» [ … ] «  i margini sono qui intesi anche come la parte della società che viene lasciata indietro » .  Si ha quindi un duplice significato di margini, da un lato, si riferisce all’inclusione di persone emarginate nella società, e dall’altro, simboleggia il mantenimento della memoria antica che rischia di scomparire, ovvero la pratica agricola che prevedete l’uso dei margini di pietra a secco che disegnano il paesaggio.

Immagine2 La viticoltura e il suolo: una responsabilità collettiva da condividere

L’Olivera si dedica a due contesti differenti: la zona rurale e arida di Valbona de les Monges, nell’entroterra della Catalogna, e la zona urbana nel Parco Naturale di Collserola a Barcellona, presso la fattoria Can Calopa de Dalt.

I muretti a secco, o muretti di pietra, in questi contesti fungono da sostegno ai terrazzamenti scavati nei fianchi delle ripide colline, fornendo livelli orizzontali di terreno per permettere la coltivazione. Inoltre, non solo contrastano l’erosione del suolo, ma assumono un’importante funzione nella lotta alla desertificazione e salificazione del suolo, rendendo la terra coltivabile nelle zone aride. L’acqua piovana trattenuta aumenta la fertilità del suolo e rimuove i Sali in eccesso. 

Esistono altre diverse iniziative impegnate nella gestione sostenibile e nella valorizzazione delle aree rurali. Sono state avviate a seguito di crescenti preoccupazioni riguardo a diverse questioni: l’abbandono delle campagne, dei campi incolti i seminativi trascurati che rischiano di trasformarsi in arbusteti dannosi per l’ecosistema circostante, i campi sottoposti alla pressione di pratiche agricole intensive.
Il modello dei biodistretti e si propone di creare una rete di territori impegnati nell’agricoltura biologica per promuovere uno sviluppo sostenibile.

Biodistretti

« Un biodistretto è un’area geografica nella quale viene stretto un patto tra agricoltori, privati cittadini, associazioni, operatori turistici, amministrazioni comunali per gestire in maniera sostenibile le risorse del territorio partendo dal metodo di coltivazione biologico e consumo biologico » afferma Saverio Traini, agronomo e vecepresidente Biodistretto San Gimignano « Il nostro impegno si concentra sulla valorizzazione delle produzioni, promuovendone la genuinità nel territorio stesso per fare in modo che la ricchezza rimanga nel territorio dove è stata prodotta ». Traini sottolinea l’importanza delle filiere biologiche e la loro integrazione con settori correlati come turismo e artigianato.

Per essere riconosciuto ufficialmente come Biodistretto, un territorio dovrebbe generalmente conformarsi al disciplinare stabilito dall’organizzazione o dall’ente che lo promuove. Traini cita la definizione di AIAB (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica) perché San Gimignano rientra tra i 23 biodistretti attivi in questa categoria.

biodistretti italiani 23 rid La viticoltura e il suolo: una responsabilità collettiva da condividere

Il Biodistretto San Gimignano è stato istituito nel 2012 mediante una decisione ufficiale del consiglio comunale, su iniziativa dell’Associazione dei produttori di Vernaccia biologica “PRO.VER.BIO”, della Stazione Sperimentale per la Viticoltura Sostenibile (già coinvolta nel biodistretto di Greve in Chianti) e dell’amministrazione comunale.

Il Decreto del 28 dicembre 2022 del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 47 del 24/02/2023, ha determinato i requisiti e le condizioni per la costituzione dei distretti biologici. Questo atto normativo fornisce un quadro regolamentare essenziale per la definizione e la gestione dei distretti biologici, consolidando ulteriormente il sostegno alle iniziative che promuovono l’agricoltura biologica su scala nazionale.

L’istituzione del primo Biodistretto nel Cilento nel 2009 non solo segnò l’inizio di una significativa diffusione di tali iniziative su tutto il territorio nazionale, ma rappresentò anche un approccio pionieristico per affrontare la complessità nel promuovere la filiera corta in un contesto dominato dal turismo di massa. Questa duplice prospettiva, incentrata sull’approccio territoriale dei Biodistretti e sull’importanza della filiera corta, ha il potenziale di contribuire in modo significativo alla diffusione dell’agricoltura biologica. Tale sinergia mira a realizzare gli obiettivi auspicati dal Green Deal e dalla strategia connessa “Farm to Fork”. Tra questi obiettivi spicca l’ambizione di destinare almeno il 25% della superficie agricola dell’Unione Europea all’agricoltura biologica entro il 2030.

Lo scopo primario del patto verde europeo, il Green Deal sopra citato, è quello di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Attualmente, stiamo assistendo a un processo di degradazione di suoli ed ecosistemi causato dalle emissioni di carbonio dovute all’agricoltura industriale o chimica. In questo contesto, durante un webinar, Íñigo Álvarez de Toledo, autore e consulente per la rigenerazione dei suoli e agrosistemi, ha chiaramente suggerito la possibilità di superare l’agricoltura biologica trasformandola in agricoltura biodinamica.

Agricoltura rigenerativa  

Rodale institute,  un’organizzazione no-profit con sede negli Stati Uniti, fondata nel 1947 da J.I. Rodale, usa il termine agricoltura organica o biologica rigenerativa, per definire  “ un sistema di produzione che rigenera la salute del suolo, degli ecosistemi e delle persone’’.

Íñigo  aggiunge «  L’agricoltura biodinamica è rigenerativa in sé perché la prima cosa che guarda è rigenerare il suolo ». Infatti, la visione rigenerativa mette al centro la salute del suolo, considerato come un sistema vitale.

Negli anni ’20, un gruppo di agricoltori, preoccupati per la qualità inferiore delle loro produzioni, si rivolse a Rudolf Steiner in cerca di risposte. Steiner propose un approccio olistico considerando l’intera azienda agricola come un sistema vivente. Pertanto, suggerì che un’azienda agricola dovesse essere un sistema chiuso alimentato dai preparati introdotti da lui stesso. Steiner affrontò le malattie delle piante e degli animali non in modo isolato, ma le considerò come sintomi di complicazioni dell’intero sistema aziendale (Steiner 1925).

Questo fenomeno si replicò anche in Inghilterra, dando origine al movimento dell’agricoltura biologica. La nascita dell’agricoltura biodinamica avvenne nel 1929, ma il suo sviluppo fu accelerato dall’industrializzazione agricola successiva alla Seconda Guerra Mondiale. A partire dal 2015, c’è stato un aumento nella consapevolezza e nella comprensione dell’importanza di praticare un’agricoltura rigenerativa. Questo approccio ha guadagnato accettazione da parte di gruppi nazionali e internazionali.

Tuttavia, manca ancora una definizione standard e, attualmente, ogni entità o organizzazione tende a definire l’agricoltura rigenerativa in base ai propri obiettivi, creando una mancanza di uniformità nella sua interpretazione.

Proviamo a capire di cosa si tratta servendoci della spiegazione di Dario Fornara, research director del Davines group-Rodale institute European regenerative organic center (Eroc), il primo centro di formazione e ricerca internazionale nel campo dell’agricoltura biologica rigenerativa

Per coltivare noi produciamo inevitabilmente emissioni, quindi, partendo dalla fotosintesi, attraverso cui le piante, utilizzano l’energia solare per assorbire l’anidride carbonica e trasformarla in zuccheri e biomassa, si fissa nel suolo nuovamente l’anidride carbonica. Questo è ottimo per l’ambiente perché viene sequestrata CO2 dall’atmosfera, ma è ottima anche per il suolo che riesce ad assorbire molti più nutrienti.

Per sfruttare questa dinamica si utilizzano i compost come nutrimento per la terra, la biomassa che non diventa raccolto, preparati e letame.
La teoria è che la vita microbica nel suolo, potenziata dai preparati biodinamici, contribuisca alla decomposizione della materia organica nel compost. Nel corso di questo processo, una frazione del carbonio presente nel materiale organico del compost può integrarsi nel suolo sotto forma di carbonio organico stabile, contribuendo in modo significativo alla creazione della sostanza organica del terreno.

Gli agricoltori devono inoltre dimenticare la filosofia agricola secondo cui le lavorazioni sono necessarie per rivoltare il terreno per arieggiarlo e per eliminare le erbe infestanti. Questo significherebbe distruggere la vita microbica ed esporre il terreno alla luce UV, una forza ossidante in grado di rompe la materia organica del suolo, riducendo la sua capacità di assorbire acqua e sostante nutritive.

In decenni di ricerca sull’agricoltura rigenerativa è stato dimostrato che questo tipo di procedimento consente di risparmiare il 45% di energia rilasciando il 40% di emissioni in meno, ma allo stesso tempo offre un potenziale di incremento della produzione del 40%.

Durante il Simposio IMW di Wiesbaden, sono stati citati esempi di altre aziende vinicole impegnate nella transizione verso pratiche rigenerative:

  • Jackson Family Wines si è proposta di convertire tutti i suoi vigneti a tecniche rigenerative entro il 2030.
  • Torres sta adottando questo approccio su oltre 500 ettari di vigneti biologici.
  • Moët Hennessy sta esplorando pratiche rigenerative a Château Galoupet in Provenza e sperimentandole anche nello Champagne.
  • La tenuta argentina del gruppo, Terrazas de los Andes, ha ottenuto la certificazione biologica rigenerativa insieme a Chandon Argentina.
  • Concha y Toro sta sperimentando approcci rigenerativi in Cile, mentre la sua tenuta statunitense, Bonterra, è già un sostenitore a lungo termine di queste pratiche.
  • La famiglia Guilisasti, proprietaria di maggioranza del gruppo, coltiva la sua Viña Emiliana in modo rigenerativo, contribuendo alla crescita del movimento di viticoltura sostenibile.

Citiamo altre aziende vinicole italiane, tra cui Tedeschi Wines in Valpolicella, La Contralta in Sardegna, Tenuta Argiano in Toscana, Monteverro a Capalbio e l’azienda vitivinicola friulana Zorzettig che stanno adottando pratiche agricole rigenerative e siamo sicuri ce ne siano tante altre.

Tutte queste aziende scelgono pratiche che, come già anticipato, mirano a migliorare la fertilità complessiva dei suoli, focalizzandosi sul ripristino e l’accumulo di carbonio organico.

Tra le pratiche troviamo l’utilizzo di mezzi tecnici come colture di copertura (cover crops) o inerbimento naturale, l’applicazione di ammendanti (compost, letame, ecc.), l’utilizzo di preparati microbiologici per stimolare la crescita delle piante e incrementare la resistenza. Alcune aziende integrano sistemi agroforestali e introducono il pascolo all’interno dei vigneti per massimizzare gli effetti positivi sul suolo.

In un mondo in cui le tecnologie avanzano rapidamente la domanda che dobbiamo continuamente porci è: in che modo le possiamo “addomesticare” per favorire una relazione virtuosa tra esseri umani e Pianeta partendo dal suolo ? Voi che ne pensate ?

articolo a cura di Fabiana Mango


Redazione
Redazione