È uscito il volume “AGROECOLOGIA CIRCOLARE – Dal campo alla tavola. Coltivare biodiversità e innovazione” edito da Legambiente ed Edizioni Ambiente e curato da Giorgio Zampetti e Angelo Gentili.
L’agricoltura influisce in maniera significativa sul nostro benessere e su quello degli ecosistemi. Purtroppo, negli ultimi cinquant’anni il massiccio utilizzo della chimica ha favorito una produzione intensiva orientata più alla massimizzazione delle rese che alla qualità. Oggi, però, nel nostro Paese è in corso una trasformazione radicale, guidata da una rete di produttori pionieri, esempio di sostenibilità ed eccellenza del Made in Italy. Se infatti l’agroecologia è stata a lungo tenuta al margine delle politiche nazionali ed europee, grazie anche alle strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030 della Commissione Europea negli ultimi anni si è imposta come una delle realtà più promettenti nel contrasto ai cambiamenti climatici e per la tutela della biodiversità.
All’interno un contributo di Alex Giordano (direttore scientifico del programma di ricerca/azione Societing4.0 e di RURALHACK) dal titolo “DIETA MEDITERRANEA 4.0: Un modello di innovazione sociale e agritech a favore di uno sviluppo ecologico”.
Agricoltura di precisione e tecnologie 4.0 sono sempre più spesso presentate come alternativa per un mondo più sostenibile e pare che da sole possano garantire la soluzione a tanti problemi legati alle catene lunghe dell’agrifood. In realtà, la questione dell’innovazione non è squisitamente tecnologica, ma è ancor prima legata alle scelte del paradigma socio-economico nel quale accogliere e far crescere l’innovazione stessa.
È di nuovo il concetto di dieta mediterranea che potrebbe essere esteso a una strategia che incorpori i principi fondamentali di un food system mediterraneo: locale, resiliente, rispettoso delle tradizioni, a basso impatto ambientale, con standard di lavoro dignitosi e, allo stesso tempo high tech. Come vera e propria strategia politica, la dieta mediterranea potrebbe dunque capitalizzare su questi principi per indirizzarli verso un nuovo regime agroalimentare, driver di sviluppo per un’economia rilocalizzata.
Tutto questo spinto e valorizzato dalla conoscenza che stiamo facendo con esperienze come Covid-19.
Voi che ne pensate?
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