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Keyline Design: limitare lo spreco d’acqua tutelando il suolo

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Il Keyline Design è un sistema di progettazione intelligente della pioggia, che limita l’erosione del suolo e lo spreco d’acqua. Sebbene sia poco diffuso in Italia, soprattutto al Sud, grazie alla cooperativa Nuovo Cilento sta vedendo luce per la prima volta nell’Italia meridionale, in particolare a San Mauro Cilento un primo prototipo sperimentale operativo. 

Il Cilento dispone di un patrimonio naturale unico che è sia risorsa, in quanto ne valorizza il territorio, sia difesa perché alcune specie vegetali possono aiutare proteggerlo. 

Enrica De Falco, Professore Associato di Agronomia e Coltivazioni erbaceee presso l’Università degli studi di Salerno, ha condotto diversi studi nell’area cilentana rilevando che le graminacee possono contenere il terreno e che le piante aromatiche hanno un ruolo fondamentale nella mitigazione delle alte temperature. Si tratta, difatti, anche di una zona fragile, in quanto parte dell’area mediterranea, che è particolarmente sensibile agli effetti dei cambiamenti climatici: il motivo di partenza che ha spinto la cooperativa ad attuare il metodo KeyLine. 

Giuseppe Cilento, sindaco di San Mauro Cilento ed ex presidente della cooperativa, ha sottolineato che questa tecnica consente di aumentare la copertura vegetale e mantenere il sottosuolo umido anche in periodi drammatici come quelli estivi. Una strategia in perfetta linea con i principi dell’agricoltura rigenerativa

La cooperativa ha perciò organizzato un workshop teorico e pratico a San Mauro dal 6 al 9 gennaio 2023 su questa tecnica – di cui noi di Rural Hack siamo stati partner con la partecipazione di Humberto Moro, permacultore messicano tra i massimi esperti mondiali di KeyLine design.

Dalla biodiversità cilentana all’agricoltura rigenerativa

«Da una località all’altra il Cilento ospita varietà e specie vegetali, anche molto diverse tra loro – ha spiegato Nicola Di Novella, geobotanico e direttore dell’Ecomuseo della Valle delle Orchidee e delle Antiche Coltivazioni – L’inula viscosa (Dittrichia viscosa), ad esempio, è una pianta spontanea che cresce ovunque ed è usata da tempo per la colorazione dei tessuti». 

La Fattoria Attanasio è riuscita a creare una serie di attività di grande interesse attorno all’inula, che può essere ospite di antagonisti, come la mosca dell’ulivo, ma può essere utilizzata anche per la conservazione delle scarpate come fascia di protezione. 

Uno dei tre principi dell’agricoltura rigenerativa si fonda proprio sul ripristino e la protezione del suolo con la vegetazione. Inoltre, questa pianta fiorisce molto tardi e può quindi essere utilizzata per rinforzare le famiglie di api prima della pausa invernale. Piante e insetti rivestono un ruolo fondamentale per l’equilibrio degli ecosistemi e la resilienza del territorio nei confronti del riscaldamento globale che sta tropicalizzando il clima del Mediterraneo. Gli altri due pilastri dell’agricoltura rigenerativa sono, infatti, favorire la biodiversità con l’agroforesty e lavorare al minimo il suolo. 

Sara Roversi –  imprenditrice sociale e founder di Future Food Institute e You can group –  ha parlato proprio di questo, sottolineando la necessità di migliorare la gestione del suolo e aumentare la ricerca sulla qualità dei prodotti cilentani per valorizzarla al meglio. 

L’agricoltura rigenerativa produce anche servizi ecosistemici, in quanto l’obiettivo finale è quello di aumentare la resilienza degli ecosistemi, e sostiene le comunità agricole locali

Nelle aziende agricole che praticano questa forma di agricoltura è tipica la consociazione delle colture che riescono a produrre di più, impiegando le comunità locali e scoraggiando l’abbandono. Infine, Maurizio Agostino – agronomo e coordinatore Rete Humus – ha parlato invece dei corridoi ecologici, indispensabili per il mantenimento della biodiversità, in quanto sono strutture che connettono aree e specie (animali e vegetali) differenti.

Quando nasce e come funziona il KeyLine design?

La tecnica è stata introdotta dall’ingegnere australiano Perceval Alfred Yeomans, in seguito a un incendio che devastò i propri terreni. «L’architettura KeyLine rallenta il flusso dell’acqua e la raccoglie in maniera più distribuita possibile rispettando la conformazione del terreno – ha spiegato Humberto Moro.

Immagine2 1 Keyline Design: limitare lo spreco d’acqua tutelando il suolo

L’obiettivo principale è quello di trattenere l’acqua dolce il più a lungo possibile prima che diventi salata e inutilizzabile in agricoltura. Secondo obiettivo di questa tecnica è quello di ridurre le perdite di terreno e l’incidenza delle frane». Non a caso si usa molto anche nei pascoli perché stimola la crescita di foraggio e aiuta a ricaricare l’acqua della falda. 

La struttura del terreno è costituita da valle (o ruscello) e cresta, che in geografia fisica corrispondono rispettivamente a impluvio e displuvio. «Nell’impluvio il movimento dell’acqua è sempre perpendicolare alle curve del livello successivo, che non sono mai parallele e che corrisponde al suo flusso naturale. Nel displuvio l’acqua si muove allontanandosi dal centro dello spartiacque (valle), quindi va verso destra e verso sinistra – ha proseguito Moro – Tuttavia, in agricoltura di solito si utilizzano linee dritte e parallele e si coltiva sulla cresta, la zona più secca perché esposta a sole, vento ed erosione». Il metodo Keyline ha, difatti, molto in comune con l’agricoltura rigenerativa, in quanto si fonda sulla concezione che è l’agricoltura a doversi adattare al territorio e non viceversa. Al fine di preservare gli equilibri strutturali e chimico-fisici del suolo, le lavorazioni sono ridotte al minimo e soprattutto atte a favorire la crescita della vegetazione.

Secondo Yeomans il passaggio dall’impluvio (parte più umida) al displuvio (parte più secca)  è un altro aspetto molto delicato perché è dove il flusso dell’acqua inizia a rallentare e si creano le sorgenti o punti di inflessione, al di sotto dei quali la vegetazione è più verde. 

Lo step successivo è individuare il cosiddetto punto chiave (Keypoint) – ubicato nel centro di una linea di impluvio (valle o ruscello) – per tracciare le linee chiave (KeyLines) che conterranno tanti punti di inflessione. Nel corso del workshop Humberto Moro ci ha spiegato che «il metodo è applicabile anche a una pendenza del 100%, ovvero a un’inclinazione del suolo di 45 °». In Honduras, ad esempio, dove c’è una topografia molto importante si coltivano colture come caffè e cacao anche alla massima pendenza. In uno dei pomeriggi ci siamo recati presso uno dei terreni della cooperativa per una dimostrazione pratica, consistita nell’individuazione del punto chiave.

Fare la differenza rispetto ai metodi tradizionali con l’uso delle tecnologie 4.0

In passato la progettazione con Keyline Design veniva fatta analizzando le mappe topografiche e il funzionamento della natura nel territorio sotto esame, utilizzando carta e penna. Questo richiedeva molto tempo, talvolta con una bassa precisione, e i risultati non sempre erano soddisfacenti. 

L’impiego delle tecnologie 4.0 e della fotogrammetria ha permesso di perfezionare la tecnica. La fotogrammetria con droni, ad esempio, permette di acquisire i dati metrici – forma, posizione e dimensione – di un oggetto. I droni sorvolano l’area di interesse ed effettuano scansioni 3D che vengono integrate con rilevazioni manuali in specifici punti dell’area. 

L’impiego di specifici software di rendering permette di ottenere un’immagine artificiale molto realistica e individuare le curve di livello del suolo e i flussi di scorrimento dell’acqua.

Tracciata la prima linea chiave si passa all’uso del “morometro”, nonché un triangolo isoscele costruito con un’asta e dello spago che consente di individuare i punti giusti per tracciare la linea parallela alla Keyline.

Screenshot 2024 02 14 155139 Keyline Design: limitare lo spreco d’acqua tutelando il suolo

Perché è così importante rafforzare la resilienza del settore idrico?

L’innovazione e la formazione degli agricoltori saranno fondamentali per preservare l’acqua, la cui disponibilità diventerà un problema globale entro la metà degli anni 2030, quando la domanda rischierà superare l’offerta di circa il 40 %. A parlarne è stato Pasquale Di Rubbo – coordinatore della programmazione della nuova Politica Agricola Comune (PAC) all’interno dell’UE – che ha illustrato le prossime strategie previste dalla Commissione Europea per l’agricoltura. «L’agricoltura svolge un ruolo significativo nel consumo di acqua dolce – ha aggiunto Di Rubbio – rappresentando in media il 40% del consumo totale di acqua (a livello dell’UE) e raggiungendo l’80% in alcune regioni dell’Europa meridionale. Il 22% dei corpi idrici superficiali europei e il 28% delle acque sotterranee risentono in modo significativo dell’inquinamento diffuso proveniente dall’agricoltura». Un problema aggravato per i Paesi del Mediterraneo – considerato hotspot climatico – tra cui il Cilento che da diverso tempo si sta confrontando con fenomeni come siccità  e carenze idriche.

Il ruolo della vegetazione nella salvaguardia del territorio

Le ricerche della professoressa Enrica De Falco hanno costituito un’altra parte importante del workshop. «La conservazione dell’acqua non è un problema nuovo – ha spiegato l’agronoma – in passato era il problema di partenza che si ponevano gli agricoltori prima di coltivare». Questo ha favorito la nascita di tecniche come i terrazzamenti che hanno concorso anche a qualificare paesaggi come quello della costiera amalfitana e cilentana. «Abbiamo notato che più pioveva nel breve periodo, più aumentava la quantità di acqua che non si infiltrava – ha osservato la De Falco nel corso di uno dei suoi studi – Un altro aspetto interessante è che la turbilità, cioè la terra che viene persa, non è stata correlata alla pendenza, ma alla tipologia di piante presenti sulla superficie interessata». È qui subentra il ruolo di specie come le Graminacee perché dotate di un apparato radicale (radice fascicolata) particolarmente atto a trattenere il terreno e a favorire l’infiltrazione. «In un altro lavoro svolto all’interno di un uliveto cilentano abbiamo utilizzato il compost di sansa della cooperativa per migliorare le caratteristiche chimico-fisiche del terreno, sottoposto negli anni a una cattiva gestione – ha aggiunto l’esperta – e la trasemina di specie in grado di nutrirlo e contenerlo (trifoglio bianco, sanguisuga pimpinella, ginestre). 

I primi risultati non sono stati significativi. Infatti, il terreno argilloso è problematico perché la sabbia limita l’accumulo d’acqua e l’argilla rende difficile la lavorazione e la gestione del terreno. Solo dopo due anni abbiamo ottenuto una copertura vegetale ottimale, ma la sola trasemina non riesce a riportare il terreno alla fertilità in assenza di interventi di sistemazione della vegetazione funzionali al contesto.»

Piante aromatiche: possibile alleato contro il cambiamento climatico

La vegetazione spontanea riveste un ruolo cruciale per mitigare gli effetti del cambiamento climatico e rigenerare il suolo, in particolare le piante alimentari e aromatiche – definite così per l’emanazione di profumi e il contenuto di oli essenziali. «Con il mio gruppo di ricerca ho condotto uno studio su queste specie, includendo anche quelle di interesse alimentare, come il luppolo – ha spiegato la professoressa De Falco –  Abbiamo misurato la tabella nutrizionale e abbiamo osservato un elevato contenuto di polifenoli con attività antiossidante nel rovo, nella mora e nel luppolo». 

Specie di questo genere stanno acquisendo sempre più importanza nel campo della nutrizione. Fibre minerali e grassi insaturi, ad esempio, sono ormai ritenuti componenti del sangue. Non solo, le peculiarità di ogni pianta evidenziano, ancora una volta, l’importanza della biodiversità. «Ognuna presenta un tratto distintivo, ad esempio una contiene più polifenoli l’altra più ferro. Durante la nostra ricerca abbiamo anche osservato che dove non c’è la copertura vegetale, la quantità d’acqua è più bassa e la temperatura più alta. Sappiamo, infatti, che la vegetazione contribuisce alla mitigazione del caldo a livello comunale. Ciò che abbiamo scoperto attraverso un altro studio, svolto nell’area archeologica di Pontecagnano, è che anche le aree più piccole hanno un ruolo».

L’agronoma e il suo gruppo di ricerca hanno monitorato l’area attraverso l’impiego di un sensore di rilevamento della temperatura per sei mesi in due zone (polmone verde o giardino di sensi, fatto con piante aromatiche dell’area mediterranea e la strada di accesso al parco) e hanno osservato che specie come corbezzolo, alloro, sambuco e rovo determinano una differenza di temperatura anche a 100 metri di distanza. Infine, queste specie potrebbero essere inserite anche nelle aziende per aumentare l’offerta della produzione, possono essere piante aromatiche o da legna. 

La biodiversità rappresenta perciò una riserva preziosa per la conoscenza e valorizzazione del territorio anche dal punto di vista della qualità ambientale, mettendo in evidenza il valore multifunzionale dell’agricoltura del Mezzogiorno.

Perché Nuovo Cilento ha scelto di investire nel KeyLine design?

«Il primo motivo che ci ha spinto ad attuare il metodo KeyLine è stata la crisi climatica – ha dichiarato Giuseppe Cilento, ex Presidente e fulcro della cooperativa e Sindaco di San Mauro Cilento – perché con questo metodo facciamo due cose positive: da una parte evitiamo l’erosione e dall’altra filtriamo l’acqua nel sottosuolo e quindi manteniamo il sottosuolo umido anche in periodi drammatici come quest’estate, dove la temperatura ha raggiunto livelli pazzeschi, soprattutto nei primi mesi dell’autunno». In questo modo, in linea con i principi dell’agricoltura rigenerativa, il suolo viene mantenuto umido e in salute anche attraverso la copertura vegetale, in particolare con agroforeste o piante odorifere, che allontanano gli insetti. 

Allo stesso tempo, la rinaturalizzazione offre ospitalità a tanti insetti predatori che erano stati scacciati, in quanto solo uno scarso 2% crea problemi. «Grazie al KeyLine ho piantato ulivi in un luogo dove nemmeno i miei antenati l’avevano fatto e le piante sono esplose. Quando arrivo in quell’uliveto mi sorridono gli occhi perché non vedo più l’acqua scorrere e desertificare in alcuni punti. Oggi, poi, le lavorazioni non possono più essere a ritocchino, ma in senso verticale, perché le precipitazioni sono molto più violente e la sostanza organica si trova nella superficie del suolo. Se non ci si adegua e in particolare se il suolo non viene coperto, questo distrugge e brucia altra sostanza organica». 

La sensibilità del prof. Cilento, insieme agli altri soci e agricoltori della cooperativa, dimostrano che l’attenzione verso gli effetti legati al riscaldamento globale è molto forte a San Mauro. Nuovo Cilento si distingue anche per la grande importanza attribuita alla cooperazione locale e alla collaborazione internazionale. Ne è un esempio la forte sinergia con dall’America Latina, in particolare Humberto Moro, o con l’Unione europea con Pasquale di Rubbo.

San Mauro Cilento: un biodistretto nel cuore del Mediterraneo

Tra le tappe del nostro racconto non poteva mancare il frantoio, fiore all’occhiello della cooperativa, che produce un olio di alta qualità. Tutto ciò è reso possibile dall’utilizzo di tecnologie innovative e macchinari di ultima generazione che permettono di preservare il contenuto di antiossidanti. Proprio per questo l’ultimo giorno di workshop San Mauro ha  ricevuto una delegazione tunisina guidata dalla direttrice generale dell’agricoltura biologica, Samia Maamer, nel corso della quale sono stati spiegati aspetti cruciali del modus operandi del frantoio. 

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«L’olio viene messo in vasche apposite chiamate gramole che hanno una parete a temperatura controllata (in Italia non deve superare i 27 °C) e dopo 45 minuti avviene la coalescenza, cioè tutte le particelle di olio si aggregano e la pasta è pronta per l’estrazione dell’olio – ha spiegato Antonello Di Gregorio, Presidente attuale della cooperativa – Noi abbiamo due gramole che hanno una capienza di una tonnellata. La macchina ha un tubo largo che man mano si restringe, quindi aumenta la velocità ma passa sempre la stessa pasta. Ci sono poi delle valvole che si aprono e chiudono mantenendo una pressione costante, facendo sì che questo processo di estrazione avvenga in pochissimi minuti e con il passaggio di quattro tonnellate di pasta all’ora, riducendo così lo stress ossidativo della pasta». La cooperativa è stata la prima in Campania a installarla, nel 2019, quando ce n’erano 25 in tutta Italia. La delegazione ha avuto la possibilità di visitare il frantoio, osservarne gli impianti e degustare i prodotti finali.

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Un esempio di economia circolare

Un aspetto messo in evidenza dai referenti della cooperativa è stato il recupero degli scarti, in particolare del nocciolino e del paté (rami, foglie, sansa). «Il nocciolino viene usato per l’acqua termica del frantoio – ha spiegato Antonello – che serve soprattutto quando fa più freddo, ma viene anche dato ai soci che hanno le stufe a casa e lo utilizzano come riscaldamento». Il paté, invece, è utilizzato per produrre il compost, ottenuto attraverso un processo di bio ossidazione. «Abbiamo un termometro elettronico che monitora la temperatura del processo sapendo che questa non deve superare mai i 60 °C, altrimenti i batteri che hanno prodotto la fermentazione si bruciano. Molte università non sono state in grado di fronteggiare questo problema, ma noi siamo riusciti a farlo con realtà come l’Università di Napoli e il CNR di Perugia».

A che punto siamo in Unione Europea?

«L’UE ha lanciato la sfida di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e tutti i settori dovranno partecipare alla riduzione delle emissioni – ha spiegato Di Rubbo – Si prevede che gli allevamenti saranno fondamentali per abbattere le emissioni residue, con il ruolo determinante della gestione dell’acqua e dei suoli per incapsulare la CO2». Infatti, 1/3 delle emissioni a livello UE proviene da tutte le fasi del ciclo di produzione del settore agroalimentare. Sarà perciò fondamentale aumentare la consulenza e la formazione a sostegno delle PMI. «Nella nuova PAC, partita a gennaio di quest’anno, c’è una forte componente orientata ai cambiamenti climatici, alla gestione dei suoli e delle acque, alla biodiversità e alla conoscenza – ha proseguito Di Rubbo – La Commissione destinerà oltre 270 miliardi a interventi diretti nelle aziende agricole, di cui il 25% saranno obbligatori per i cosiddetti ecoschemi, che riguarderanno aspetti ambientali come la fertilità dei suoli e delle acque. 

Il secondo pilastro è invece il fondo per lo sviluppo rurale, gestito a livello regionale, del valore di 87 miliardi di euro, cofinanziato poi dallo Stato membro; quindi, in realtà questa cifra va almeno doppiata». Riguardo al fondo per lo sviluppo rurale ci sono dei vincoli obbligatori per gli investimenti. Ad esempio, il 35% delle risorse finanziarie dovrà essere destinato ad azioni ambientali climatiche, tra cui l’acqua e la sua gestione. Per ottimizzare l’utilizzo dei fertilizzanti, l’Unione europea intende ridurne l’impiego almeno del 20% da qui al 2030, perché un eccesso di questi prodotti intacca ulteriormente la fertilità dei suoli e la qualità dell’acqua. 

Diversi saranno gli strumenti disponibili a sostegno della resilienza idrica e della fertilità del suolo­, come pagamenti diretti (basati sulla superficie) per gli agricoltori europei che dovranno rispettare obblighi ambientali più rigorosi (es. rotazione colturale) per accedervi e investimenti produttivi (in attrezzature più efficienti e uso delle acque depurate come fonte alternativa per l’irrigazione) e non (per migliorare la ritenzione idrica nel paesaggio e l’infiltrazione e ridurre il deflusso e l’erosione nelle acque superficiali).

articolo a cura di Alessandra Romano!

Redazione
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