Per fare tutto ci vuole un fiore anche per fare il frutto che fa il seme, diceva una bella canzoncina scritta da Gianni Rodari. E invece nel 2019 il seme lo fa il laboratorio che fa anche il frutto e poi ci mette un bel brevetto e fine della canzone e anche arrivederci alla biodiversità.
Quello che sta succedendo su questo fronte sembrerebbe inquietante a partire da un dato: “il 97% dei finanziamenti destinati all’agricoltura è destinato a quel modello agricolo industriale che è stato causa del deperimento e desertificazione dei suoli, inquinamento della falda, della perdita della biodiversità vegetale e animale. Ai contadini e alle aziende che producono secondo il modello biologico, biodinamico e più in generale secondo l’approccio agroecologico, a chi sostiene la biodiversità, spesso a proprie spese, va a mala pena il restante 3% dei finanziamenti”.
E forse vale la pena ricordare che alla libera circolazione dei semi si frappongono molti ostacoli: registrazioni, royalties, brevetti, leggi ad hoc. E vale la pena anche dire che la grande multinazionale del seme dallo scorso anno rientra negli asset societari e finanziari dell’agrochimica creando un sistema corporativo che sostiene un mercato mondiale, quello dell’agroindustria, del valore di centinaia di miliardi di dollari all’anno.
“La rivoluzione verde, vale a dire l’agricoltura industriale, di verde e di rivoluzionario ha avuto a mala pena il nome e la retorica della propaganda di una missione miseramente fallita che ha lasciato alle future generazioni enormi disastri ambientali e sanitari a cui porre rimedio. Non ha risolto i problemi dell’agricoltura, né ha colmato i bisogni alimentari del pianeta, a cominciare dalla fame nel mondo, che secondo le organizzazioni internazionali, dal 2015 è tornata ad aumentare” e la rivoluzione 4.0 rischia di essere il secondo capitolo del libro sulle rivoluzioni che hanno effetti estremamente negativi per la società e per l’ambiente oltre che per l’economia di milioni di piccoli contadini e agricoltori che, nel mondo, subiscono lo strapotere di questo sistema.
Quali strade possiamo immaginare per una rivoluzione 4.0 che sovverta questo paradigma verso un #DigitalGreenNewDeal?
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