La settimana è stata segnata da due eventi: il XVII Forum dell’agricoltura e dell’agroalimentare che si è aperto e tenuto a Cernobbio e gli echi della presentazione del Rapporto ASVIS che si è tenuta a Roma l’8 ottobre scorso.
Da Cernobbio si è acceso un faro sul tema della legalità evidenziando come sia necessario aggiornare il quadro normativo che, in materia di reati agroalimentari, fa ancora riferimento al regio decreto 19 ottobre 1930. L’allarme legalità esce chiaro da Cernobbio: a fronte di 25.000 controlli, i reati agroalimentari accertati sono aumentati del 58%. Coldiretti ha chiesto al governo di riprendere in mano il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri nella passata legislatura che ha recepito un lavoro bipartisan del Parlamento ma inviato alle Camere il giorno dopo la loro decadenza. Un altro interessante contributo, raccolto in settimana, fa il punto sulla sicurezza/insicurezza alimentare. Secondo Luigi Bonizzi, che è stato Direttore del Dipartimento di Scienze Veterinarie e Sanità pubblica dell’Università di Milano, serve sicuramente maggior coordinamento tra gli attori che si occupano dei controlli oltre che più informazione per gli addetti del settore e per i clienti. Le verifiche su quello che mangiamo oggi sono in mano alla Polizia annonaria, all’Ats (ex Asl) e ai Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dei Carabinieri (Nas) che non sono forze tra loro sinergiche. Inoltre, secondo il professor Bonizzi, è necessario fare maggiore formazione nel settore della ristorazione perché la sicurezza alimentare è una responsabilità condivisa.
Dal Rapporto ASVIS invece arrivano buone notizie: tra il 2010 e il 2016 l’Italia è migliorata in 8 aree: alimentazione a agricoltura sostenibile, salute e benessere, istruzione di qualità, parità di genere, innovazione, modelli sostenibili di produzione e di consumo, lotta al cambiamento climatico, cooperazione internazionale. È un altro contributo raccolto in settimana che sottolinea, però, come l’orizzonte del 2030 (a cui si ispira ASVIS riferendosi agli Obiettivi dell’ONU per un benessere sostenibile) deve affrontare la sfida del cambiamento climatico e, in particolare, il pericolo dell’aumento del caldo e della siccità per l’agricoltura. A questo contributo si aggiunge anche un’infografica che presenta le principali sfide che l’umanità si trova ad affrontare dopo aver, di fatto, colonizzato il pianeta a un punto tale da farci entrare ormai a tutti gli effetti in una nuova epoca: l’Antropocene (come descrive nei suoi studi il Nobel olandese Paul Crutzen). Negli ultimi 60-70 anni la specie umana e i suoi consumi sono esplosi, causando la più rapida estinzione di specie animali della storia. In questo breve lasso di tempo, inferiore alla vita di una persona, la popolazione mondiale è cresciuta del 180%, i consumi di acqua del 215% e quelli di energia del 375% e altri interventi, come la diffusione delle plastiche, hanno completamente modificato la faccia della Terra.
Prendendo spunto dagli articoli della settimana individuiamo almeno 3 percorsi da intraprendere. A indicare una prima via è un studio Slow Food e Indaco2, spin-off dell’università di Siena, realizzato su alcuni prodotti alimentare per misurare il loro carbon foodprint, quindi impatto sull’ambiente. Lo studio evidenzia in modo chiaro quanta differenza faccia la scelta di un sistema produttivo invece di un altro attraverso il confronto di 6 prodotti alimentari provenienti da filiera virtuose e confrontante con quelli di filiera industriale. In tutti i casi analizzati le differenze tra emissioni prodotte sono intorno al 30%.
Altro fronte di miglioramento sul quale agire riguarda gli sprechi alimentari. Secondo un’indagine Coldiretti/Ixe’ sono circa 16 i miliardi (di euro) che finisco nel bidone in un anno. L’indagine dice che è in aumento l’attenzione degli italiani alle etichette e alla provenienza dei cibi ma lo spreco domestico è ancora alto a fronte di 114 mila persona che si sono servite delle mense dei poveri e 2,55 milioni che hanno accettato pacchi di cibo.
Infine la terza è il lavoro di sensibilizzazione e formazione che si può fare con i giovani agricoltori. Pare infatti, secondo uno dei contributi raccolti, che in tempi difficili come questi, quello dell’agricoltura sia un campo d’azione che attira sempre più giovani. Sarebbero infatti circa 55mila le imprese gestite da agricoltori con meno di 35 anni di età. Aziende migliori delle altre, cioè di quelle condotte da anziani agricoltori, visto che il loro fatturato è del 75% più alto della media, la loro superficie maggiore del 54% e i loro occupati del 50%. Aziende che hanno tutti i numeri per competere meglio e di più sia sui mercati interni che su quelli internazionali. La preparazione di questi giovani è importante e a sottolineare come possa essere realizzata in modo efficace e condiviso uno degli articoli raccolti fa riferimento all’esperienza di AgriAcademy, il progetto di alta formazione ideato e sviluppato da Ismea in collaborazione con il Ministero per le Politiche agricole che in questi giorni ha dato il via ad una serie di appuntamenti nazionali orgogliosamente accompagnati dal team di Rural Hack.
Di seguito i link agli articoli: