Può il movimento del cibo locale negli Stati Uniti diventare una realtà scalabile? Si è interrogato sull’argomento Jigar Shah, CEO della Carbon War Room, una società non-profit che si serve del potere degli imprenditore per implementare soluzioni di mercato rispetto ai cambiamenti climatici e creare un’economia post-carbonio.
Energia e agricoltura hanno in comune molto di più di quanto si possa pensare. I prezzi del cibo e quelli dei combustibili fossili sono in aumento, terra e acqua sembrano diventare merci sempre più scarse proprio nel momento in cui sia l’energia che i processi di produzione agricola stanno danneggiando senza precedenti la salute umana e l’ambiente. Entrambe le industrie soffrono di sistemi di distribuzione complessi e inefficienti e regolamenti governativi farraginosi che favoriscono lo status quo. Questi settori sono sostenuti da sussidi governativi che vanno a beneficio dei produttori già presenti sul mercato, penalizzando le imprese più giovani che magari avrebbero delle soluzioni interessanti per questi problemi.
In tutto ciò non va dimenticato il legame indissolubile tra energia e agricoltura. L’industria alimentare negli Stati Uniti è uno dei più grandi e dispendiosi consumatori di energia. Diversi studi stimano che l’industria alimentare consuma circa il 10% dell’energia della nazione con solo il 20% di questa utilizzata nella produzione effettiva di cibo. Il resto va al trattamento, alla refrigerazione e preparazione, e, naturalmente, al trasporto. C’è da dire che i costi di trasporto sono anche un fattore importante nella determinazione dei prezzi degli alimenti.
Per tutti questi motivi e per altri, il movimento del cibo locale in America sta guadagnando sempre più terreno. Famiglie, ristoranti e scuole stanno acquistando molto del loro cibo dai mercati degli agricoltori. Comunità di questo tipo e orti, stanno nascendo un po’ ovunque. E nei luoghi dove la terra è scarsa, nelle aree urbane densamente popolate, molti consumatori e aziende stanno prendendo spazio “dal cielo”, attraverso la coltivazione idroponica, mettendo su orti e piccole serre sui tetti.
La domanda che ci si pone è quindi se tutto ciò sia scalabile. Perché qualcosa sia scalabile è necessario che risolva un problema reale, deve essere conveniente e replicabile, e avere i giusti sistemi a sostegno. Perché ciò avvenga bisogna attirare capitali sufficienti da parte del settore privato per incoraggiare gli imprenditori a costruire grandi business redditizi.
Non si tratta di un percorso facile, soprattutto perché bisogna superare le remore di investitori troppo prudenti, spingere per proporre e ottenere leggi e regolamenti che superino barriere potenzialmente insormontabili.
Per quanto riguarda il trend dell’agricoltura sui tetti, esiste una società che si chiama BrightFarms. È in attività dal 2006 e propone consulenze per gli agricoltori che vogliono intraprendere questa strada, ed ha adottato un nuovo modello di business. La BrightFarms propone contratti ai supermercati per costruire e gestire delle serre in loco sui tetti dello store. Non ci sono costi iniziali per i rivenditori, solo l’obbligo di acquistare il cibo coltivato sui tetti attraverso il metodo idroponico con contratti a lungo termine e prezzi fissi. La politica della BrightFarms è di non rendere noti i suoi clienti almeno fino alla fase di fornitura dei prodotti da parte delle aziende agricole.
Il fatto che i rivenditori acquistino il cibo prodotto nei loro locali sconvolge completamente la complicata e costosa catena di approvvigionamento alimentare. I costi di trasporto sono praticamente prossimi allo zero, compensando così i maggiori costi iniziali di coltivazione in serra rispetto ai metodi tradizionali e incrementa i margini in quanto il prodotto ha una durata di vita più lunga. Si ha inoltre un abbassamento del dispendio di acqua, fertilizzanti e altri input di oltre il 90%. E poi i consumatori hanno quello che vogliono: prodotti freschi, gustosi e a prezzi accessibili. Ancora più importante è l’aspetto lavorativo in quanto questo modello richiede manodopera locale, incrementando i posti di lavoro nelle comunità locali.
Con il tempo si capirà se questo modello prenderà piede modificando decisamente i metodi di approvvigionamento alimentare per quanto riguarda le catene di supermercati negli Stati Uniti. È chiaro che non esiste un silver bullet per le questioni energetiche e alimentari, i pannelli solari o la coltivazione sui tetti non possono essere l’unica soluzione o la sola efficiente rispetto a questi problemi. Trovare le risposte giuste nella questione energetica e alimentare richiede e richiederà di investire in migliaia di tecnologie che sono scalabili e che hanno un impatto.
Anche in Italia ormai si sente sempre più spesso parlare di innovazione nel campo alimentare e agricolo anche se forse gran parte delle iniziative vengono prese nell’interesse delle multinazionali e degli azionisti. La sfida è quindi sfruttare la tecnologia e lo spirito collaborativo per migliorare gli interessi dei produttori, dei consumatori e soprattutto nel pieno rispetto dell’ambiente.
Scalabilità e biodiversità
Quella che forse appare essere una differenza tra la realtà statunitense e quella mediterranea, italiana, nello specifico, è l’interesse a trovare soluzioni per una produzione alimentare sostenibile diversificata. La sostenibilità e la biodiversità dei prodotti sono compatibili con i concetti di tecnologia e scalabilità? Appare evidente, come anche nelle best practice proposte, che l’azione dell’economia USA sembra sempre finalizzata alla creazione di grossi business, sebbene attraverso la ricerca e l’attuazione di pratiche sicuramente più sostenibili. Anche nel campo dell’innovazione sembra visualizzarsi in modo abbastanza definita la separazione tra una visione capitalistica dell’Occidente americano e una sempre più comunitaria e tribale del Mediterraneo. Probabilmente ciò avviene anche in virtù del fatto che negli Stati Uniti la questione della biodiversità in campo alimentare è meno sentita. Nella realtà nostrana sembra sempre più chiaro il concetto che coltivare la biodiversità è fondamentale per il futuro del genere umano e di tutto il Pianeta. Il monopolio che hanno poche multinazionali su poche specie va a favorire un sistema basato su un numero ristretto di varietà, il che equivale ad avere un sistema fragile.
In una realtà come quella italiana, così ricca da un punto di vista enogastronomico, il sentiment e le prospettive per un nuovo modello economico nel campo del food ci sarebbero e come. Il primo passo è per l’appunto riappropriarsi dei valori tribali che hanno segnato la tradizione mediterranea, ridando valore alla comunità e al prodotto materiale. Forse è proprio questo aspetto a rendere più complicata la questione della scalabilità del settore, si tratta di qualcosa di materiale, con un enorme patrimonio culturale legato al territorio, alle tradizioni locali, all’expertise da conservare e tramandare. Allora proprio per questo i due modelli economici vanno ancora di più visti come differenti, è per questo che vanno proposti nuovi valori (ma anche tradizionali) che si sostituiscono a quelli di attivismo, produttività, razionalità, competitività in una visione in cui il sistema di relazioni sociali è sempre più forte e non si può non tenerne conto.
Fonte: Growing local food: scale and local food systems governance