Agricoltura Sociale: a Reggio Emilia è un progetto di comunità

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Il Parco Nilde Iotti di Reggio Emilia diventa il primo laboratorio urbano della città, con l’attivazione di progetti di agricoltura sociale.

C’era un volta…

Nel lontano 2004 si decise (in un Piano Urbanistico Attuativo!) che la zona intorno al Parco Nilde Iotti diventasse un altro pezzo della città di Reggio Emilia. La crisi economica l’ha impedito e il fallimento delle ditte che dovevano realizzare una mini new-town ha portato con sé il fallimento di tutto il progetto. E del progetto è rimasto solo questo parco, del quale molti cittadini di Reggio Emilia non conoscono nemmeno l’esistenza, a parte, come è ovvio, coloro che abitano nei pressi di questa zona che hanno visto, nel tempo, il degrado e l’incuria di questo spazio.

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E così, in occasione dei #LaboratoridiCittadinanza – che il Comune di Reggio Emilia ha organizzato nel quartiere- è esploso l’affaire Parco Nilde Iotti che è stato considerato un affare cittadino e non solo di quartiere, diventando quindi il primo #Laboratoriourbano di Reggio Emilia.[1]

L’Agricoltura sociale nel Parco Nilde Iotti

Il Parco ha una dimensione di circa 16 ettari (162.000 mq di verde pubblico) ed è una porta naturale che si apre verso una zona rurale.

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I progetti che renderanno vivo questo spazio nascono dal dialogo tra tanti e diversi attori della città su aspetti differenti (la mobilità e l’accessibilità, l’ambiente e il paesaggio, gli aspetti socio-culturali, ecc.). Un confronto che si è articolato in oltre 20 incontri e che ha portato all’#Accordodicittadinanza sottoscritto da 17 soggetti, oltre al Comune.

Tra le attività concordate all’interno del Parco Nilde Iotti è stato proposto anche l’avvio di un’esperienza di #AgricolturaSociale. “L’obiettivo principale del progetto è lo sviluppo di un modello di Agricoltura sociale che sia replicabile anche in altri contesti, che porti alla cura e al presidio del Parco Nilde Iotti, che promuova la formazione professionale, la creazione di lavoro in campo agricolo, la riscoperta del paesaggio agrario, la promozione della salute e del cibo sano e che sancisca patti e relazioni stretti tra quartieri e parco legando i cittadini al mondo dell’agricoltura.”

A proporre questo progetto è stata l’#AIAPP Associazione Italiana Architettura Paesaggio (sezione locale) che ha trovato la diretta collaborazione del Centro sociale la Mirandola. Il Comune da parte sua, esprimendo un grande interesse per questo progetto pilota, ha messo a disposizione due ricercatori (scelti con bando nazionale) che, grazie ad una borsa di studio, stanno concludendo una ricerca specifica per rispondere a due questioni:

  • I quartieri intorno al Parco Nilde Iotti rappresentano una domanda potenziale che renda sostenibile un’iniziativa orientata al #BusinessSociale?
  • Quale può essere un modello gestionale, organizzativo e di servizio che renda sostenibile un’attività che vuole essere insieme di produzione, didattica, culturale, creatrice di occasioni professionali, di inclusione e di welfare?

Per avere le risposte bisogna attendere la fine dell’anno (e noi saremo lì a raccontare che cosa è stato deliberato).

Qui tutti i materiali elaborati nel percorso partecipato

Cos’ha di speciale il “modello Reggio Emilia”

Questa prima puntata della storia non si può chiudere senza uno zoom sul modello Reggio Emilia: un percorso sperimentale di co-progettazione e un laboratorio cittadino di nuova socialità e di nuova politica.

Cosa c’è di speciale in questo percorso?

  • C’è anzitutto che è proprio un #EsperimentoSociale. Parte da una contingenza (una legge che cancella i quartieri) e diventa, mano a mano, un metodo di ascolto, di co-decisione, di co-progettazione e, soprattutto, di co-responsabilità nella realizzazione del cambiamento. Attraverso gli Accordi di cittadinanza ogni attore che decide di partecipare attivamente, sottoscrive il proprio impegno. Comune compreso;
  • C’è che è un progetto comunale che ha due condizioni di partenza rare da trovare “in natura”: una committenza forte (Sindaco e Assessore lanciati, presenti e confidenti) e una guida esperta che da subito ha messo in campo capacità amministrativa, sensibilità politica e grande cura per i cittadini e la città;
  • C’è che sono state da subito individuate e assunte le persone giuste al posto giusto (!);
  • C’è che, alla base di tutto, esiste una “visione del mondo” condivisa che viene, per semplicità, etichettata come #metodoReggioChildren. E’ il metodo della collaborazione tra attori diversi che consente alle persone di esprimere la loro identità e il loro potenziale e che favorisce lo sviluppo di cambiamenti grazie a un percorso socializzato.

Non sarà di certo tutto oro quello che luccica ma a guardarlo da lontano questo laboratorio urbano sembra essere, in pratica, quella democrazia progettuale di cui parla Ezio Manzini[2] e da qui sembra che la città stia diventando una piattaforma nella quale si ridefiniscono gli interessi e si creano nuove forme di collaborazione per tutti coloro che vogliono essere protagonisti: nessuno escluso.

 

[1] La differenza tra un Laboratorio di cittadinanza e un Laboratorio urbano è la scala di riferimento: i primi sono percorsi partecipati per realizzare nuovi progetti nei quartieri attraverso il confronto e la collaborazione tra Comune e cittadini mentre i secondi sono processi partecipati di scala urbana che riguardano luoghi di interesse cittadino.

[2] E. Manzini, Politiche del Quotidiano, Edizioni di Comunità, 2018

 

Articolo di Annalisa Gramigna

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