La siccità di quest’anno non ha dato tregua all’agricoltura eppure in diversi campi sparsi per tutta l’Italia sono nate, da semi diversi, varietà di grani eccezionali, dal sapore antico. Si tratta di un miracolo? No, è solo la passione di chi ha scelto di non accettare il diktat imposto dall’industria del seme ai contadini, e ha preferito seguire una strada, se vogliamo più difficile, meno redditizia, ma di certo più bella, virtuosa e sana. È la strada della Rete Semi Rurali, associazione che raggruppa a sua volta 40 associazioni diverse con il proposito di far valere i diritti dei contadini, preservare la biodiversità delle sementi, recuperando e proteggendo il patrimonio genetico della nostra terra.
Rete Semi Rurali riscopre il passato per coltivare il futuro
Come leggiamo sul sito: «La Rete Semi Rurali è stata fondata nel novembre 2007 per ricordare a tutti che la biodiversità agricola va conservata, valorizzata e sviluppata nelle campagne di tutto il mondo e dagli agricoltori, prima di tutto». Questo il proposito dell’associazione presieduta da Claudio Pozzi, il quale ha raccontato, in un’intervista sul settimanale Il Venerdì, che è necessario tutelare il diritto alle sementi, dal momento che oggi in Italia esiste un’agricoltura che possiamo definire “convenzionale” e che costringe il contadino «a comprarsi il seme dall’industria (e sono sempre quelle 4-5 qualità create in laboratorio per essere più redditizie), così come i concimi chimici, i nitrati, i macchinari sempre più performanti, gli anticrittogamici, i diserbanti; per poi consegnare il prodotto più o meno agli stessi soggetti che gli hanno venduto il seme insieme al resto e che fissano il prezzo». È impensabile che un’agricoltura del genere possa innescare meccanismi sostenibili e virtuosi, come invece avviene con questi contadini “ribelli” che con la loro “disobbedienza” sono riuscita a riappropriarsi di un patrimonio genetico importantissimo e stanno provando a recuperare le tantissime varietà di semi che l’Italia contava più di un secolo fa. E non si parla solo di grano, ma anche di pomodori, fagioli, melanzane, zucchine, peperoncini, cavoli e via dicendo. Insomma, una biodiversità incredibile di prodotti della terra che oggi purtroppo si riduce a pochissime specie create in laboratorio.
Questo incredibile patrimonio va recuperato e non lasciato nel dimenticatoio, e la Rete Semi Rurali manda avanti questa missione anche grazie all’aiuto di università e istituti agrari. Qui le varietà riscoperte vengono studiate e adattate alla grande diversità del nostro Paese e ai cambiamenti climatici. I benefici che derivano da questa missione sono intuibili: agricoltura a basso impatto, preservazione del territorio e della tradizione, offerta di cibo vero e salutare. A qualche miope tutto ciò potrà sembrare poco redditizio, ma come sottolinea Pozzi: «Le aziende che per prime hanno puntato in questa direzione hanno creato occupazione sul territorio e poco alla volta sono state seguite da altre. Sono nati consorzi di rete, cooperative». Il valore aggiunto è infatti proprio questo della condivisione, come spiega sempre su Il Venerdì, Luca Ferrero, presidente di Asci (Associazione di solidarietà alla campagna italiana): «È il dialogo, la condivisione, la creazione di relazioni tra i ricerca- tori che studiano, gli agricoltori che seminano, i mugnai e i fornai che trasformano il prodotto, il consumatore che a sua volta partecipa e si informa, consapevole del giusto prezzo per un cibo che ha valori nutrizionali veri».
Un circolo virtuoso che dal passato porta all’innovazione e che nasce anche da un gesto semplice, come quello dello scambio delle sementi. Oggi, che questo scambio non è più punibile, si possono raggiungere risultati importantissimi per la biodiversità della nostra terra.
Fonte: Il Venerdì – 25 Agosto 2017